Parte da qui il nuovo film di Mario Monicelli (è il suo 65mo) 'Le rose del deserto', nelle sale dal 1°dicembre. Per il maestro della commedia all'italiana (92 anni e non sentirli) una nuova storia in cui, come nella migliore tradizione, protagonista è una sorta di 'armata brancaleone' (se confrontata con gli efficienti mezzi e uomini dell'alleato germanico) formata da tante facce e tanti dialetti, dal veneto al siciliano, dal milanese al romano.
Il film è liberamente ispirato al libro 'Il deserto della Libia' di Mario Tobino, una raccolta di appunti, ricordi e impressioni raccolte dall'autore durante il periodo trascorso in Libia come soldato. "L'idea mi è venuta dal romanzo - ha raccontato Monicelli - ma erano argomenti sui quali riflettevo anch'io da molti anni. Anch'io ho fatto la guerra, ma non in Libia. Da tempo però ero interessato a raccontare quella zona; ispirandomi al romanzo e rubando alcuni particolari da altri libri, ho scritto la storia." Una commedia a tratti amara - com'è nello stile del regista - che parlando di quella guerra parla anche di tutte le guerre. Impossibile, guardando il film, non pensare infatti alle attuali missioni in Iraq o Afghanistan, dove i soldati italiani si confrontano con un mondo islamico in apparenza molto lontano, ma nel quale trovano a volte più somiglianze che differenze. Un film anche sulle assurdità della guerra, sulla quale però Monicelli tiene a precisare: "Io non sono un pacifiscta ad ogni costo. Quando l'Italia doveva essere liberata dal fascismo e dal nazismo, io fui contento che ci fosse quella guerra, che era l'unico modo per liberarsi da quelle piaghe."
Il film: siamo in Libia, 1941. In un'oasi sperduta nel deserto si accampa la 31ma sezione Sanità dell'esercito italiano. Un reparto medico che segue il fronte da lontano, il cui compito è rimettere in piedi i feriti. Il comandante (Alessandro Haber) è un romantico che al dare ordini preferisce recitare Omero e scrivere lettere d'amore alla moglie lontana. Sotto di lui, il giovane tenente medico Salvi (Giorgio Pasotti), appassionato di fotografia che "più che un fascista' si sente un turista", e un gruppo di giovani soldati e medici che hanno i volti per lo più di attori non professionisti. "Ai provini - ha spiegato Monicelli - tutti gli attori tra i 18 e i 25 anni che ho visto erano alti, belli e palestrati. I soldati del 1940 erano tutti piccoli, spesso tarchiati, di certo non atletici." E anche per questo, nelle scene di massa, la maggior parte dei soldati italiani è stata interpretata da giovani tunisini (il set era in Tunisia), assai più simili ai loro coetanei italiani di 50 anni fa. Tra i protagonisti, anche Michele Placido in saio da frate, nel ruolo di una sorta di 'missionario' (più pratico che teologo), che nel piccolo villaggio nel deserto ha costruito una scuola per i bambini del posto. "E' il mio personaggio preferito - ha spiegato il regista - perché è un personaggio con un approccio molto laico e anche avventuroso nei confronti della sua missione." Unica donna, la modella israeliana Moran Atias nella parte di una ragazza del villaggio.